Nacqui quando l'italiani cantavan - Tripoli bel suol d'amore - e combattevano contro i turchi, avevo quattr'anni quando scoppiò la guerra del 1915, ne avevo sette quando si vinse a Vittorio Veneto.
I profughi di Caporetto accolti in casa mia mi stupirono con la loro educazione.
Ammirai il carro ferroviario nero e oro che portò a Roma la salma del Milite Ignoto.
Rispettavo i funerali e la lettiga a mano della Misericordia levandomi il cappello. A scuola il 27 aprile si festeggiava la cacciata del Granduca di Toscana, il 24 giugno s'ascoltava in Santa Croce la messa di suffragio per gli studenti caduti a San Martino e a Solferino.
Avevo undici anni quando il fascismo conquistò il potere. Scrivevo Patria con la P maiuscola. Conoscevo molti doveri e pochi diritti.
Al ginnasio m'insegnarono che pulcrum et decorum est pro Patria mori e salutavo i professori romanamente.
In terza liceo fui avanguardista. Da milite universitario presi parte a un'adunata a Roma dove sotto le gradinate dello Stadio per la prima volta dormii vestito sulla paglia.
Prima della laurea fui chiamato al servizio militare. Dopo averlo terminato fui richiamato con tutta la mia classe per la guerra in Affrica Orientale.
Passammo molti anni su vari fronti, pochi rimanemmo in vita.